Un rifiugiato somalo, lo scorso 10 luglio, è stato fermato da 4 agenti in borghese in Via degli Ausoni a Roma. Gli agenti non si sono identificati e il ragazzo, temendo che fossero dei truffatori che tentavano di derubarlo (cosa che gli era già successa in Sicilia), ha cominciato a gridare aiuto. Immediatamente sono accorsi gli abitanti di San Lorenzo, accompagnati da alcuni attivisti presenti all’interno del vicino Cinema Palazzo, in soccorso del ragazzo somalo. Dopo un prolungato tira e molla con chi si era precipitato sul posto, che chiedeva ai quattro di mostrare il tesserino identificativo, gli agenti hanno cercato di caricare di peso il rifugiato in macchina. Il ventiduenne a quel punto ha accusato un malore seguito da una crisi epilettica. Attualmente è stato dimesso dal Policlinico Umberto I e rilasciato dalla polizia perché i suoi documenti erano assolutamente impeccabili. La prognosi è un trama cranico e alcune lievi contusioni. Secondo l’ospedale romano 15 giorni dovrebbero essere sufficienti per la guarigione. Il fatto è già noto dagli scorsi giorni, soprattutto grazie a un video che testimonia l’accaduto, meno nota è forse la cornice in cui inquadrare gli avvenimenti.
Se vedo nero procedo al fermo. Se vedo nero devo controllare. Qualcosa che non va dovrò pur trovarlo, o no?
Purtroppo è questo il meccanismo mentale che scatta sempre più spesso nei meandri della psiche di alcuni tutori dell’ordine, che poi finiscono per creare disordine, raggiungendo un obiettivo del tutto contrario agli scopi di partenza.
Roma, quartiere di San Lorenzo: uno dei luoghi storici della capitale, un crocevia di culture diverse, sin dagli anni della sua nascita, nei primi decenni dello scorso secolo. Allora la borgata era luogo di incontro tra i romani e i migranti abruzzesi, si narra che fosse Sgurgola Marsicana il paese maggiormente rappresentato all’interno della zona. Numerosi anche i migranti provenienti dal Sud Italia. Con gli occhi di oggi, per i più, la situazione non dovrebbe esser considerata problematica. Eppure anche allora erano all’ordine del giorno le tensioni sociali, essendo a confronto dei modi di vivere completamente diversi. L’Italia era un paese giovane e pieno di differenze nel folklore, nelle tradizioni, negli usi, nei costumi.
San Lorenzo però, ha saputo fare delle diversità un punto di partenza, una forza. Il quartiere romano, seppur eterogeneo all’interno, all’esterno si mostrava come un organismo compatto, tanto da resistere all’avanzata dei fascisti sino alla Marcia su Roma. È cosa nota che tutto il popolo della borgata – chi d’estrazione cattolica, chi comunista, chi socialista, chi anarchico – si oppose con vigore all’ingresso dei fascisti all’interno del suo corpo sociale. Fu l’ultimo quartiere a desistere alle incursioni delle camicie nere, che solo attraverso l’appoggio dell’esercito riuscirono a conquistarlo. Per un approfondimento sul periodo storico consigliamo il libro della prof.ssa Lidia Piccioni San Lorenzo, un quartiere romano durante il fascismo, che cerca di vivificare quel periodo storico all’interno del quartiere attraverso le testimonianze di chi l’ha vissuto.
A che scopo questo excursus, vi chiederete voi? Beh, chi frequenta la zona non dovrebbe avere dubbi. Negli ultimi tempi sono cresciute, purtroppo, le frizioni tra gli abitanti italiani di San Lorenzo e gli stranieri. È vero, alcuni tra questi ultimi talvolta danno vita a uno spettacolo poco edificante nella cosiddetta “Piazza Nuova”, con lanci di bottiglie di vetro e faide interne ai loro gruppi, che spesso costringono alla fuga chiunque sia nelle vicinanze. Quello che ci sentiamo di chiedere però, a chi vive in loco, è di non perdere, per colpa di alcuni, l’ospitalità che ha sempre contraddistinto il quartiere. Quell’eterogeneità culturale che è stata il punto di forza di San Lorenzo per molti decenni. Chiedete ai vostri nonni quanto fosse difficile all’inizio vivere con chi veniva da Sgurgola Marsicana o dalla Puglia.
Il fatto del rifugiato somalo, tra l’altro, dimostra come siano ancora molti quelli che sono pronti a scendere in campo per difendere i diritti di un ragazzo fino a quel momento sconosciuto.
Per questo ci sentiamo di rivolgere anche un appello alle forze dell’ordine. Questo controllo è sicuramente degenerato, purtroppo però, non è un caso unico. I ripetuti fermi di polizia verso gli stranieri, non fanno che alimentare il risentimento e la rabbia, rimarcando le diversità, invece di promuovere l’integrazione nel tessuto urbano di chi parla con un accento differente dal nostro.
Ricordatevi, inoltre, che avete la responsabilità di proteggere anche gli stranieri e non di terrorizzarli, come purtroppo è successo in questo caso. Perché la paura è sempre un cattivo deterrente per “tutelare” l’ordine nella città.
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