Fino a poche settimane fa, ai passeggeri che atterravano all'Aeroporto Aden Abdulle di Mogadiscio veniva dato un foglio dove si chiedeva di indicare nome, indirizzo e calibro dell'arma. Oggi le cose sono cambiate: ai visitatori viene consegnato un modulo giallo in cui non si fa menzione di armi ma si può indicare, tra le ragioni della propria visita, una nuova categoria: la vacanza.
Nelle strade di Mogadiscio, poi, i colpi battenti che si sentono al mattino non sono più quelli dei mitragliatori: ma suoni prodotti dagli strumenti di lavoro. Si costruisce ovunque: ospedali, case, negozi, alberghi e persino bar (dove invece della birra si servono succhi di frutta). Al Teatro Nazionale, un tempo usato come deposito d'armi, i cantanti somali hanno appena dato il loro primo concerto in vent'anni. Insomma, la capitale somala ridotta in macerie da 21 anni di guerra civile, sta vivendo un'epoca di grandi trasformazioni. I ribelli del gruppo al-Shabab che un tempo controllavano il Paese, si sono ritirati dalla città ad agosto.
Ora la capitale è in mano a una sorta di superpotenza, l'African Union, che la difendono con 10 mila soldati (diventeranno 17 mila), mentre carri armati, artiglieria e veicoli corazzati pattugliano le strade; così la città sta attraversando il più lungo periodo di pace dal 1991: otto mesi. "È una rinascita" dice Omar Osman, ingegnere informatico che ha lavorato ad Atlanta per le linee aeree Delta e si è appena trasferito qui. "Questa è la Somalia di ultima
generazione". Naturalmente c'è molta strada da fare.
Poco tempo fa un attentatore suicida si è fatto esplodere all'ingresso del palazzo presidenziale; un colpo di mortaio ha colpito un campo di rifugiati uccidendo sei persone. Qualche signore della guerra tenta di resistere e in alcuni quartieri della città i miliziani rialzano la testa. Ma la gente sente la nuova atmosfera: e vuole approfittarne. Negli ultimi sei mesi 300 mila persone hanno fatto ritorno in città, cominciando a eliminae le macerie e ricostruire le case crivellate dai proiettili.
Il boom economico, alimentato dall'afflusso di milioni di dollari in gran parte portati da chi rientra in patria, crea nuovi posti di lavoro che assorbono i miliziani desiderosi di uscire dalla spirale della violenza. Considerata l'importanza che Mogadiscio riveste nel Paese, questo è un'enorme occasione. E sebbene la Somalia si sia autodistrutta numerose volte, Augustine Mahiga, responsabile per la Somalia dell'ufficio politico delle Nazioni Unite, crede - assieme a molti altri - che questa volta è diverso. La Somalia è a un punto di svolta. "Per la prima volta dal 1991, Mogadiscio è sotto il controllo di un'unica autorità " spiega Mahiga. "Un fatto senza precedenti". In città aleggia un insolito sentimentoche unisce persone diverse: la speranza.
IL VENDITORE DI PESCE
Il locale è pieno, le mosche sciamano ovunque e il pavimento è ricoperto di sangue. "Quattro milioni!" grida Mohammed Sheik Nur Taatey, agitando con forza quattro dita tozze. "Mi devi quattro milioni. Non uno scellino di meno". Siamo al mercato del pesce di Mogadiscio, un edificio lungo e stretto situato in riva al mare, dove ogni giorno si vendono migliaia di dollari di pesce. Taatey, 38 anni, vende all'ingrosso. Negli ultimi mesi i suoi introiti sono lievitati. L'ondata di residenti tornati a Mogadiscio e l'apertura di nuovi ristoranti ha fatto salire il prezzo del pesce, passato dai 50 centesimi alla libbra ai 2 dollari di oggi.
La pesca è ricca, un segno positivo per la rinascente industria ittica somala che richiama anche l'attenzione degli investitori asiatici. "È il periodo migliore della mia vita" dice il pescivendolo. Il guadagno medio è intorno ai 27 dollari, e lui, che dopo la caduta del governo nel 1991 ha assistito alla distruzione di Mogadiscio da parte di miliziani appartenenti a clan molto più forti del suo, finalmente respira. All'epoca uscire era così pericoloso che Taatey non poteva vendere il pesce e la sua famiglia si nutriva di farina d'avena. Ma oggi Taatey mette a tavola banane, patate, frittelle e minestra. "Sono fortunato" dice con un sorriso, seduto in mezzo a quella che si direbbe la classe di una scuola. "Ho 14 figli. C'è chi non ne ha neanche uno".
IL BANCHIERE
Mentre la sua città affondava nel caos, Liban Egal, fedele al leggendario spirito imprenditoriale dei somali, gestiva un impero di friggitorie di pollo a Baltimora. I commercianti somali famosi per la loro intraprendenza, sono i primi, all'estero, ad aprire negozi in quartieri malfamati o villaggi remoti. Egal, emigrato negli Usa alla fine degli anni 80, non ha smentito questa fama e ora, arricchitosi coi polli, si appresta ad aprire la First Somali Bank, prima banca commerciale del Paese.
E ha in programma di investire anche in servizi internet, pannelli solari e industria ittica. È convinto che sia il momento giusto, né troppo presto né troppo tardi, per investire in Somalia: il livello di sicurezza è aumentato e le tasse sono basse. Certo, lo scellino somalo si è impennato, passando dai 33 mila scellini per 1 dollaro di 6 mesi fa ai 20 mila di oggi. I prezzi degli immobili sono alle stelle a causa delle organizzazioni internazionali tornate a Mogadiscio dopo vent'anni.
La carestia dello scorso anno ha ucciso migliaia di persone, ma ha anche suscitato nuovo interesse verso il Paese attirando nuovi soggetti economici, come i turchi, arrivati per consegnare aiuti alimentari e oggi impegnati in nuove attività commerciali. Tanto che Turkish Airlines ha inaugurato due collegamenti settimanali tra Istanbul e Mogadiscio. Un problema è rappresentato dalla Transitional Federal Government, autorità riconosciuta a livello internazionale, debole e corrotta. Quando Egal è arrivato, alcuni funzionari della banca centrale gli hanno chiesto di pagare una "tassa di registrazione" di 100 mila dollari. Lui ha rifiutato e quelli se ne sono andati. Interrogato sull'episodio, un portavoce governativo, ha detto: "Non è vero. La corruzione appartiene al passato".
L'ARTISTA
Abdullah Abdirahman Abdullah Alif riceve ancora minacce di morte per i suoi fumetti satirici. Ogni settimana esplode una bomba. "Almeno ho un lavoro", minimizza. "Siamo in una fase di transizione" aggiunge, mostrando una tela lunga 3 metri. Al centro del quadro è riprodotta l'immagine di un adolescente il cui corpo è per metà uno scheletro. Il ragazzo ha in una mano una colomba, nell'altra un fucile. Dietro di lui due futuri diversi: da un lato campi verdi, frutti e graziosi edifici, dall'altro fiamme, fuoco, tombe e avvoltoi.
"I ragazzi sono la spina dorsale della società. Ciò che vogliamo è che guardando quest'immagine capiscano che si sceglie: morte e distruzione o pace". Alif, 40 anni, fa parte di un gruppo di artisti appena emersi da anni di clandestinità cui un'associazione no profit ha commissionato, per il rispettabile compenso di 400 dollari al mese, un'enorme dipinto che promuova la pace. Il lavoro sarà esposto agli angoli delle strade più frequentate, equivalente di uno spot a fini sociali in una realtà in un cui la televisione non è diffusa.
Negli anni scorsi sulla testa di Alif c'è stata una taglia per aver realizzato opere giudicate non islamiche. Vandali hanno distrutto l'armadio in cui conservava le sue opere: "26 mila disegni perduti", dice. Ma il suo ardore è rinato grazie al revival artistico della città. Qualche giorno fa un gruppo di musicisti si è perfino riunito per una jam session; musica alta e ragazzine che si muovevano a ritmo fumando sigarette e masticavano qat. Quando la città era in mano agli al-Shabab, una cosa del genere avrebbe scatenato una strage.
LA DONNA POLIZIOTTO
I progressi compiuti a Mogadiscio si basano su qualcosa di fondamentale: la sicurezza. E a garantirla ci sono persone come Khadija Hajji Diriye, una donna di 35 anni dal fisico massiccio. Lavora nella stazione di polizia di Waberi armata di un AK-47. "Un giorno gli Shabab erano dall'altra parte della strada e ho cominciato a sparare " racconta. Spiega che viene trattata come i colleghi maschi, tranne che non può portare la pistola perché qualcuno potrebbe aggredirla e rubargliela.
Nel posto di polizia in cui lavora donne col velo e uomini con il copricapo tradizionale, fanno le loro denunce: violenza domestica, ferite da taglio, litigi contrattuali, piccoli furti. I poliziotti scrivono i loro rapporti con una vecchia macchina da scrivere e di tanto in tanto fanno un arresto. Abdi Ismail Samatar, docente di geografia, di nazionalità somalo-americana, dice che la svolta di Mogadiscio è qui. "Tutto dipende dalle istituzioni. Il settore privato arriva solo fino a un certo punto" spiega.
"Ora dipende da quelli che stanno in cima alla collina". Intende Villa Somalia, il palazzo presidenziale, situato su un colle: dove però due persone si contendono la presidenza del parlamento, paralizzando il processo legislativo, mentre un ex funzionario governativo, qualche tempo fa, ha rivelato che mancano all'appello milioni di dollari. Non c'è da sorprendersi se i dipendenti del governo più importanti (vale a dire le forze di sicurezza) non ricevano lo stipendio. Diriye dovrebbe guadagnare 100 dollari Amneeyat, la polizia segreta degli Shabab, praticamente un commando omicida.
"Ci dividevano in squadre" spiega. "Il comandante ci dava l'obbiettivo, noi lo studiavamo e preparavamo un piano. Infine uccidevamo". Non tradisce emozione, non è né spavaldo né pentito. Dice che la sua arma preferita era una calibro 30 e di aver partecipato a oltre 50 omicidi. È entrato a far parte della milizia a vent'anni. In una Somalia dall'economia in rovina, le milizie erano le uniche occasioni di lavoro. Alla fine si era stancato di uccidere, dice, ma il colpo finale è stato quando lo hanno incaricato di assassinare suo cugino, un miliziano progovernativo.
Voleva disertare, ma ha dovuto chiedere il permesso al padre per tornare a casa. Da allora, Abdul si guarda le spalle per timore dei suoi ex colleghi. Come molti ex miliziani, è disorientato. "Vorrei un lavoro normale ", dice. Tipo cosa? Ci pensa un attimo e risponde "Mi piacerebbe fare l'autista". (Traduzione di Antonella Cesarini) © New York Times al mese, ma accade di rado. Le sue condizioni di vita sono terribili. Il marito è stato ucciso e lei, insieme a 5 figli, occupa abusivamente una casa diroccata vicino al mare. Dal tetto piove, il suo materasso è lacero, non c'è bagno né elettricità. Si dedica al lavoro per patriottismo. "La caduta del governo del 1991 fu il momento peggiore della mia vita" dice. "Come posso andarmene ora che un nuovo governo sta per arrivare?".
IL SICARIO
Un tempo Abdul Kader dava la caccia a poliziotti, funzionari di governo, intellettuali e a qualche capo religioso. Non si direbbe un sicario, ha le guance paffute e una barbetta che stenta a crescere. Ma ha fatto parte di Amneeyat, la polizia segreta degli Shabab, praticamente un commando omicida. "Ci dividevano in squadre" spiega. "Il comandante ci dava l'obbiettivo, noi lo studiavamo e preparavamo un piano. Infine uccidevamo".
Non tradisce emozione, non è né spavaldo né pentito. Dice che la sua arma preferita era una calibro 30 e di aver partecipato a oltre 50 omicidi. È entrato a far parte della milizia a vent'anni. In una Somalia dall'economia in rovina, le milizie erano le uniche occasioni di lavoro. Alla fine si era stancato di uccidere, dice, ma il colpo finale è stato quando lo hanno incaricato di assassinare suo cugino, un miliziano progovernativo. Voleva disertare, ma ha dovuto chiedere il permesso al padre per tornare a casa. Da allora, Abdul si guarda le spalle per timore dei suoi ex colleghi. Come molti ex miliziani, è disorientato. "Vorrei un lavoro normale ", dice. Tipo cosa? Ci pensa un attimo e risponde "Mi piacerebbe fare l'autista".
QUA
Nelle strade di Mogadiscio, poi, i colpi battenti che si sentono al mattino non sono più quelli dei mitragliatori: ma suoni prodotti dagli strumenti di lavoro. Si costruisce ovunque: ospedali, case, negozi, alberghi e persino bar (dove invece della birra si servono succhi di frutta). Al Teatro Nazionale, un tempo usato come deposito d'armi, i cantanti somali hanno appena dato il loro primo concerto in vent'anni. Insomma, la capitale somala ridotta in macerie da 21 anni di guerra civile, sta vivendo un'epoca di grandi trasformazioni. I ribelli del gruppo al-Shabab che un tempo controllavano il Paese, si sono ritirati dalla città ad agosto.
Ora la capitale è in mano a una sorta di superpotenza, l'African Union, che la difendono con 10 mila soldati (diventeranno 17 mila), mentre carri armati, artiglieria e veicoli corazzati pattugliano le strade; così la città sta attraversando il più lungo periodo di pace dal 1991: otto mesi. "È una rinascita" dice Omar Osman, ingegnere informatico che ha lavorato ad Atlanta per le linee aeree Delta e si è appena trasferito qui. "Questa è la Somalia di ultima
Poco tempo fa un attentatore suicida si è fatto esplodere all'ingresso del palazzo presidenziale; un colpo di mortaio ha colpito un campo di rifugiati uccidendo sei persone. Qualche signore della guerra tenta di resistere e in alcuni quartieri della città i miliziani rialzano la testa. Ma la gente sente la nuova atmosfera: e vuole approfittarne. Negli ultimi sei mesi 300 mila persone hanno fatto ritorno in città, cominciando a eliminae le macerie e ricostruire le case crivellate dai proiettili.
Il boom economico, alimentato dall'afflusso di milioni di dollari in gran parte portati da chi rientra in patria, crea nuovi posti di lavoro che assorbono i miliziani desiderosi di uscire dalla spirale della violenza. Considerata l'importanza che Mogadiscio riveste nel Paese, questo è un'enorme occasione. E sebbene la Somalia si sia autodistrutta numerose volte, Augustine Mahiga, responsabile per la Somalia dell'ufficio politico delle Nazioni Unite, crede - assieme a molti altri - che questa volta è diverso. La Somalia è a un punto di svolta. "Per la prima volta dal 1991, Mogadiscio è sotto il controllo di un'unica autorità " spiega Mahiga. "Un fatto senza precedenti". In città aleggia un insolito sentimentoche unisce persone diverse: la speranza.
IL VENDITORE DI PESCE
Il locale è pieno, le mosche sciamano ovunque e il pavimento è ricoperto di sangue. "Quattro milioni!" grida Mohammed Sheik Nur Taatey, agitando con forza quattro dita tozze. "Mi devi quattro milioni. Non uno scellino di meno". Siamo al mercato del pesce di Mogadiscio, un edificio lungo e stretto situato in riva al mare, dove ogni giorno si vendono migliaia di dollari di pesce. Taatey, 38 anni, vende all'ingrosso. Negli ultimi mesi i suoi introiti sono lievitati. L'ondata di residenti tornati a Mogadiscio e l'apertura di nuovi ristoranti ha fatto salire il prezzo del pesce, passato dai 50 centesimi alla libbra ai 2 dollari di oggi.
La pesca è ricca, un segno positivo per la rinascente industria ittica somala che richiama anche l'attenzione degli investitori asiatici. "È il periodo migliore della mia vita" dice il pescivendolo. Il guadagno medio è intorno ai 27 dollari, e lui, che dopo la caduta del governo nel 1991 ha assistito alla distruzione di Mogadiscio da parte di miliziani appartenenti a clan molto più forti del suo, finalmente respira. All'epoca uscire era così pericoloso che Taatey non poteva vendere il pesce e la sua famiglia si nutriva di farina d'avena. Ma oggi Taatey mette a tavola banane, patate, frittelle e minestra. "Sono fortunato" dice con un sorriso, seduto in mezzo a quella che si direbbe la classe di una scuola. "Ho 14 figli. C'è chi non ne ha neanche uno".
IL BANCHIERE
Mentre la sua città affondava nel caos, Liban Egal, fedele al leggendario spirito imprenditoriale dei somali, gestiva un impero di friggitorie di pollo a Baltimora. I commercianti somali famosi per la loro intraprendenza, sono i primi, all'estero, ad aprire negozi in quartieri malfamati o villaggi remoti. Egal, emigrato negli Usa alla fine degli anni 80, non ha smentito questa fama e ora, arricchitosi coi polli, si appresta ad aprire la First Somali Bank, prima banca commerciale del Paese.
E ha in programma di investire anche in servizi internet, pannelli solari e industria ittica. È convinto che sia il momento giusto, né troppo presto né troppo tardi, per investire in Somalia: il livello di sicurezza è aumentato e le tasse sono basse. Certo, lo scellino somalo si è impennato, passando dai 33 mila scellini per 1 dollaro di 6 mesi fa ai 20 mila di oggi. I prezzi degli immobili sono alle stelle a causa delle organizzazioni internazionali tornate a Mogadiscio dopo vent'anni.
La carestia dello scorso anno ha ucciso migliaia di persone, ma ha anche suscitato nuovo interesse verso il Paese attirando nuovi soggetti economici, come i turchi, arrivati per consegnare aiuti alimentari e oggi impegnati in nuove attività commerciali. Tanto che Turkish Airlines ha inaugurato due collegamenti settimanali tra Istanbul e Mogadiscio. Un problema è rappresentato dalla Transitional Federal Government, autorità riconosciuta a livello internazionale, debole e corrotta. Quando Egal è arrivato, alcuni funzionari della banca centrale gli hanno chiesto di pagare una "tassa di registrazione" di 100 mila dollari. Lui ha rifiutato e quelli se ne sono andati. Interrogato sull'episodio, un portavoce governativo, ha detto: "Non è vero. La corruzione appartiene al passato".
L'ARTISTA
Abdullah Abdirahman Abdullah Alif riceve ancora minacce di morte per i suoi fumetti satirici. Ogni settimana esplode una bomba. "Almeno ho un lavoro", minimizza. "Siamo in una fase di transizione" aggiunge, mostrando una tela lunga 3 metri. Al centro del quadro è riprodotta l'immagine di un adolescente il cui corpo è per metà uno scheletro. Il ragazzo ha in una mano una colomba, nell'altra un fucile. Dietro di lui due futuri diversi: da un lato campi verdi, frutti e graziosi edifici, dall'altro fiamme, fuoco, tombe e avvoltoi.
"I ragazzi sono la spina dorsale della società. Ciò che vogliamo è che guardando quest'immagine capiscano che si sceglie: morte e distruzione o pace". Alif, 40 anni, fa parte di un gruppo di artisti appena emersi da anni di clandestinità cui un'associazione no profit ha commissionato, per il rispettabile compenso di 400 dollari al mese, un'enorme dipinto che promuova la pace. Il lavoro sarà esposto agli angoli delle strade più frequentate, equivalente di uno spot a fini sociali in una realtà in un cui la televisione non è diffusa.
Negli anni scorsi sulla testa di Alif c'è stata una taglia per aver realizzato opere giudicate non islamiche. Vandali hanno distrutto l'armadio in cui conservava le sue opere: "26 mila disegni perduti", dice. Ma il suo ardore è rinato grazie al revival artistico della città. Qualche giorno fa un gruppo di musicisti si è perfino riunito per una jam session; musica alta e ragazzine che si muovevano a ritmo fumando sigarette e masticavano qat. Quando la città era in mano agli al-Shabab, una cosa del genere avrebbe scatenato una strage.
LA DONNA POLIZIOTTO
I progressi compiuti a Mogadiscio si basano su qualcosa di fondamentale: la sicurezza. E a garantirla ci sono persone come Khadija Hajji Diriye, una donna di 35 anni dal fisico massiccio. Lavora nella stazione di polizia di Waberi armata di un AK-47. "Un giorno gli Shabab erano dall'altra parte della strada e ho cominciato a sparare " racconta. Spiega che viene trattata come i colleghi maschi, tranne che non può portare la pistola perché qualcuno potrebbe aggredirla e rubargliela.
Nel posto di polizia in cui lavora donne col velo e uomini con il copricapo tradizionale, fanno le loro denunce: violenza domestica, ferite da taglio, litigi contrattuali, piccoli furti. I poliziotti scrivono i loro rapporti con una vecchia macchina da scrivere e di tanto in tanto fanno un arresto. Abdi Ismail Samatar, docente di geografia, di nazionalità somalo-americana, dice che la svolta di Mogadiscio è qui. "Tutto dipende dalle istituzioni. Il settore privato arriva solo fino a un certo punto" spiega.
"Ora dipende da quelli che stanno in cima alla collina". Intende Villa Somalia, il palazzo presidenziale, situato su un colle: dove però due persone si contendono la presidenza del parlamento, paralizzando il processo legislativo, mentre un ex funzionario governativo, qualche tempo fa, ha rivelato che mancano all'appello milioni di dollari. Non c'è da sorprendersi se i dipendenti del governo più importanti (vale a dire le forze di sicurezza) non ricevano lo stipendio. Diriye dovrebbe guadagnare 100 dollari Amneeyat, la polizia segreta degli Shabab, praticamente un commando omicida.
"Ci dividevano in squadre" spiega. "Il comandante ci dava l'obbiettivo, noi lo studiavamo e preparavamo un piano. Infine uccidevamo". Non tradisce emozione, non è né spavaldo né pentito. Dice che la sua arma preferita era una calibro 30 e di aver partecipato a oltre 50 omicidi. È entrato a far parte della milizia a vent'anni. In una Somalia dall'economia in rovina, le milizie erano le uniche occasioni di lavoro. Alla fine si era stancato di uccidere, dice, ma il colpo finale è stato quando lo hanno incaricato di assassinare suo cugino, un miliziano progovernativo.
Voleva disertare, ma ha dovuto chiedere il permesso al padre per tornare a casa. Da allora, Abdul si guarda le spalle per timore dei suoi ex colleghi. Come molti ex miliziani, è disorientato. "Vorrei un lavoro normale ", dice. Tipo cosa? Ci pensa un attimo e risponde "Mi piacerebbe fare l'autista". (Traduzione di Antonella Cesarini) © New York Times al mese, ma accade di rado. Le sue condizioni di vita sono terribili. Il marito è stato ucciso e lei, insieme a 5 figli, occupa abusivamente una casa diroccata vicino al mare. Dal tetto piove, il suo materasso è lacero, non c'è bagno né elettricità. Si dedica al lavoro per patriottismo. "La caduta del governo del 1991 fu il momento peggiore della mia vita" dice. "Come posso andarmene ora che un nuovo governo sta per arrivare?".
IL SICARIO
Un tempo Abdul Kader dava la caccia a poliziotti, funzionari di governo, intellettuali e a qualche capo religioso. Non si direbbe un sicario, ha le guance paffute e una barbetta che stenta a crescere. Ma ha fatto parte di Amneeyat, la polizia segreta degli Shabab, praticamente un commando omicida. "Ci dividevano in squadre" spiega. "Il comandante ci dava l'obbiettivo, noi lo studiavamo e preparavamo un piano. Infine uccidevamo".
Non tradisce emozione, non è né spavaldo né pentito. Dice che la sua arma preferita era una calibro 30 e di aver partecipato a oltre 50 omicidi. È entrato a far parte della milizia a vent'anni. In una Somalia dall'economia in rovina, le milizie erano le uniche occasioni di lavoro. Alla fine si era stancato di uccidere, dice, ma il colpo finale è stato quando lo hanno incaricato di assassinare suo cugino, un miliziano progovernativo. Voleva disertare, ma ha dovuto chiedere il permesso al padre per tornare a casa. Da allora, Abdul si guarda le spalle per timore dei suoi ex colleghi. Come molti ex miliziani, è disorientato. "Vorrei un lavoro normale ", dice. Tipo cosa? Ci pensa un attimo e risponde "Mi piacerebbe fare l'autista".
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